venerdì 7 settembre 2012

69 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

GRAND HOTEL EXCELSIOR - BLUE BAR



“….ya, ya, forty seven millions, yes dollars, of course. That to begin with. Sure.” “Yes, I immediately called you. I thought you would be interested in …….” Parla nel cellulare, con voce bassa, ma sembra un ruggito, forse a causa del sigaro che continua a stringere tra i denti, mentre una ragazza asiatica, che ha tutta l’aria di essere la sua assistente, seria e impettita, prende appunti su un bloc-notes. Siamo al Blue Bar, dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia, il luogo prediletto dai produttori cinematografici, che durante il Festival del Cinema, nella penombra ovattata, dove lo scintillio del mare arriva sotto forma di morbidi riflessi blu solo nelle giornate sfolgoranti, s’incontrano, concludono affari o, installati nelle comode poltroncine di cuoio, come quello che abbiamo sentito noi, telefonano a Hollywood, a New York, a New Delhi e Filippine, ovunque un possibile finanziatore sia in attesa di un progetto, di un invito, di un investimento. Li vedi all’inizio fare cerchio intorno a limonate e acqua minerale, come una squadra di baseball che prepara la sua strategia: i produttori italiani scelgono il tavolino nell’angolo più appartato, bisbigliano, si guardano intorno timorosi di “orecchie indiscrete”; gli altri sono un filo più rumorosi (forse perché hanno più soldi? Chissà, nel cinema è sempre difficile capirlo). L’altro giorno un gruppo di executive asiatici si è riunito per ore, tra foto e scartoffie, occupando un intero angolo del Blue Bar sotto la luce fioca di una abat-jour e poi di colpo, sparite coca cola e noccioline, con un giro di cocktail Bellini, un centinaio d’inchini e qualche sorriso, hanno chiuso l’incontro e forse aperto il set di un paio di “disaster movie” che vedremo nel 2016. 

Oltre i velluti e la moquette azzurra, sulla terrazza del bar, attorno ai tavolini che dominano la spiaggia e il mare, stazionano, s’incontrano, chiacchierano, si controllano a vicenda: distributori cinematografici, produttori, attori in attesa d’interviste, addetti stampa pronti ad accalappiarsi il giornalista di grido e a dribblare tutti gli altri, che ricercheranno dopo, con calma, in caso di bisogno. Kristin Scott Thomas si è affacciata per un po’; Salma Hayek ci rimasta il tempo di salutare Frieda Pinto; Paolo Villaggio ci sta le mattinate intere; abbiamo visto il ciuffo rosso di Redford emergere da un groviglio di fan, body guard e assistenti, mentre Davide Riondino, Marco Bellocchio, Brian De Palma sorridono sotto i lampi dei fotografi, e torme di bambini veneziani chiedono autografi a casaccio, oppure rincorrono le starlett televisive. 


Foto di Alessandro Pilastrini
Camerieri silenziosi e perfetti distribuiscono caffè, cappuccini, brioche, spiedini di club sandwich con patatine, caipirinha, cuba libre, Bellini, champagne, margarita, cocktail Martini, sino a sera. Il tramonto si allunga sul mare, gli attori si mettono in ghingheri, i truccatori dell’Oreal, a disposizione di divi e divine del cinema, se ne vanno e le “delegazioni”, ossia i gli attori, i registi, i produttori dei vari film escono dall’Excelsior per i “duecento metri di panico” che li separano dal Palazzo del Cinema, dalla Sala Grande del Festival dove viene proiettato il loro film. Entrare tra i gridolini di entusiasmo della folla e uscire tra gli applausi, è il sogno di tutti. Non tutti però ci riescono e spesso comunque vada, li ritroviamo seduti al Blue Bar, sul tardi per chiacchierare attorno a un drink, bisbigliando al simpatico e quasi leggendario, Tony Micelotta, “the duke” of Martini cocktail, le loro ansie e i loro segreti. 





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