lunedì 31 dicembre 2012

Feste e bollicine

A proposito di Champagne e Spumanti

Lo champagne (e lo spumante), va servito freddo, a 10-12 C, ma c’è chi lo preferisce più freddo (6 C), o quasi ghiacciato, ma così facendo si rischia di coprirne il profumo e le sfumature del gusto delicato. In caso, ricordate che il freddo non riesce comunque a mascherare uno champagne mediocre…. 
Mettete lo champagne (e lo spumante) in fresco il giorno prima di aprirlo, o almeno dodici ore prima (per essere sicuri di non dimenticarvene). Tenete a portata di mano un secchiello  o (se la scelta del party di fine anno è caduta su di voi!), una provvidenziale zuppiera con acqua fredda e cubetti di ghiaccio, per le “bollicine-regalo-dell’ultimo-minuto”, ma resistete all’idea d’infilare la bottiglia nel congelatore. Uno champagne, o uno spumante metodo classico, è un prodotto sensibile che va rispettato e le temperature troppo basse del congelatore sono un attentato al suo gusto fine e delicato.
Se volete organizzare una cena a base di champagne, potete rimanere sullo stesso vino scegliendo un blanc de blancs. Oppure se amate un particolare champagne, studiatene le caratteristiche e componete il menù di conseguenza, scegliendo quei piatti che meglio si attagliano alla sua struttura aromatica.
Se siete in cerca di qualche indicazione, c’è chi consiglia uno champagne con una dominante di pinot nero, con pernici e fagiano; mentre il blanc de blancs, sarebbe particolarmente adatto a pesce, aragosta, astice, o carne bianca. Altri invece insistono sul fatto che essendo lo champagne, un vino speciale, simbolo di gioia e di allegria, si accorda con tutto ciò che compone la festa.
Volete assolutamente festeggiare con uno champagne e non sapete se scegliere un sec, oppure un brut, o un demi-sec? In linea di massima i sec e i demi-sec sono i più adatti per il dessert, mentre il brut è perfetto come aperitivo, o per pasteggiare.
Coppa, o flute per apprezzare al meglio lo champagne, (o lo spumante)? Nei film degli anni ’50 lo champagne era rigorosamente servito nelle coppe, ma ormai da anni gl’intenditori preferiscono i flute, e ricordate di tenere le dita lontane dal calice per evitare di scaldare il prezioso elisir. Quindi allenatevi a tenere il flute dal piede, o al massimo dal gambo.


Voglia di Rosè

Quest’anno tra gli champagne e gli spumanti più richiesti ci sono i rosé, che, come dicono i francesi “...fanno tremare gli esperti e brillare gli occhi delle donne”, e visto che veniamo indicate come le principali estimatrici di questo tipo champagne, ecco quelli che preferiamo noi del blog:

 “Veuve Clicquot rosé” – il primo rosé champenois, un vino complesso dal gusto fruttato dove il lampone, la ciliegia, la fragola di bosco sono le sfumature dominanti. Perfetto per l’aperitivo, ma anche per il resto della serata.  
“Dom Perignon rosé 2000” - uno dei migliori rosé della Champagne, una sorta di capolavoro della maison Moet, però dal prezzo decisamente molto elevato..

Tra gli spumanti italiani:
“Berlucchi Cuvée Imperiale Max Rosè” Metodo Classico - colore rosa tenue, profumo fruttato, dove dominano i frutti di bosco. Gusto morbido e dal perlage persistente. Vino molto versatile, può essere servito come aperitivo, e si abbina in modo perfetto a diverse pietanze tra cui i crostacei e i dolci alla frutta.
 
“Ferrari Brut Rosè “ Metodo Classico -  colore rosa antico brillante. Dalla fresca fragranza di fiori di biancospino, ribes e fragoline di bosco, gusto asciutto, elegante con delicato fondo di mandorla dolce. Anche questo può essere servito come aperitivo oppure accompagnare diverse pietanze. 

Se la scelta di uno champagne o di uno spumante può essere una scelta difficile, quella di un rosè lo può essere ancora di più. Rinunciate al rosè se non siete sicuri della sua qualità. E comunque se avete dei dubbi entrate in un’enoteca e fatevi consigliare. Attualmente si possono trovare spumanti italiani di ottima qualità, a prezzi molto abbordabili in qualsiasi enoteca di buon livello.  


Per rimanere rigorosamente in tema, eccovi qualche cocktail a base di champagne (o di spumante), magari  per un fine anno in tete à tete, oppure per iniziare  una cena tra amici.    

Cocktails a base di champagne (o di spumante)

Per rimanere rigorosamente in tema, eccovi qualche cocktail a base di champagne (o di spumante), magari  per un fine anno in tete à tete, oppure per iniziare  una cena tra amici.    
 
Champagne Cocktail

Champagne secco
1/2  shot di brandy
1 zolletta di zucchero bianco
2 gocce di Angostura bitter

Mettete la zolletta di zucchero in un flute, aggiungete l’angostura e poi mescolate delicatamente sino a sgretolare lo zuccherino. Versate il brandy e riempite il bicchiere con lo champagne appena aperto.

Lo Champagne Coctktail è un classico, di origine americana, nato nel XIX secolo non si sa bene dove, ma che ha conquistato una fama internazionale.

Marilyn Monroe
(Che s’inserisce perfettamente anche nella nostra serie dei Drink dedicati alle star di Hollywood)

4 misure di Champagne ghiacciato
1 misura di Applejack o Calvados
1/4 di misura di granatina

In una coppa da champagne aggiungete all’Applejack, la granatina, mescolate delicatamente e versate lo champagne. Mescolate parsimoniosamente. Decorate con un paio di ciliegie per cocktail.

Questo cocktail profumato, dedicato alla bionda Marilyn, richiederebbe dello champagne Dom Perignon, che lo rende particolarmente prezioso (e non ci riferiamo solo al gusto), nel caso in cui vogliate una scelta alternativa, sempre di classe, vi consigliamo un Moet&Chandon Brut Imperial, della stessa azienda (altrimenti un buon spumante italiano brut).
   
Blackberry and Champagne Crush
Questa è una ricetta adatta ad un brunch, o anche ad piccolo party.  

Ricetta per 2 persone:
175 gr di more
1 cucchiaio di zucchero a velo
30ml di cognac
250 ml di champagne o spumante

Frullate le more fino ad ottenere una purée, mettetela in un setaccio e aggiungete lo zucchero. Mettete la purée in un mixing glass, aggiungete lo spumante (o in caso un buon vino frizzante) mescolate per un paio di secondi e versate in due bicchieri dove avete in precedenza versato il brandy. Servite subito.
Nel caso in cui abbiate 6 ospiti, suddividete la purée di more (ovviamente nella giusta quantità) in 6 bicchieri dove avrete versato il cognac, e riempite sino all’orlo con lo champagne (o lo spumante, o il vino frizzante).

Ed ora voliamo a New York per due ricette di cocktail particolari, e con l’occasione vi portiamo in due storici Hotel, dove vi consigliamo di fare una capatina se siete nella Grande Mela, perché entrambi sono una pietra miliare del panorama cittadino e un pezzo della storia di questa grande città .

Incontriamoci al Bar a New York

I cocktail che abbiamo scelto per voi, fanno parte dei menù classici che vengono ancora oggi serviti nei bar di due famosi hotel di New York. L’Hotel Algonquin e l’Hotel Carlyle, che sorgono in due edifici in stile, dei primi del ‘900 a Manhattan.
Più simili a dei club inglesi, che non a dei bar, venivano descritti da un viaggiatore dell’epoca come “veri avamposti di civiltà e di raffinatezza”, perché erano luoghi accoglienti, dall’arredamento curato, dove i barman, veri campioni della miscelazione, erano anche abili conversatori, capaci di introdurre con discrezione l’ospite di passaggio, nella cerchia degli habitué che avevano i suoi stessi interessi. 
E il viaggiatore che approdava in quell’hotel, sapeva che venire accettato in quel bar significava non solo evitare di bere in solitudine, ma anche entrare a far parte di un circolo, di una piccola realtà sociale composta di “prosperi forestieri”, ma anche di un’elite cittadina aperta e vivace, dove poteva fare conoscenze, trovare eventuali clienti e appoggi per futuri affari. 
Quei bar sono ancora oggi  luoghi pieni di atmosfera e di fascino, soprattutto per chi ama il mondo dei cocktail, perciò se andate a New York non mancate di  visitarli. Ma intanto eccovi due ricette classiche e interessanti a base di champagne. 

Se entrate all’Hotel Algonquin chiedete un:   

Matilda
2 once Vodka profumata al mandarino
1 goccia di Triple Sec
1 arancia spremuta
1/2 oncia di Champagne
Scorzetta d’arancia

Nello Shaker versate la Vodka, il Triple Sec e il succo d’arancia, aggiungete abbondante ghiaccio spezzettato. Shakerare bene, aggiungere lo champagne e filtrare in una coppetta da cocktail. Guarnire con una sottile buccia d’arancia.

(Nel menù anche il Matilda 21 : Vodka al mandarino, Cointreau, succo di limone fresco e succo d’arancia e  Korbel Brut)
La ricetta di questo drink, prevede: Vodka Absolut e Champagne Moet&Chandon, oppure al posto di quest’ultimo, un Korbel Brut della California (o uno spumante italiano, suggeriamo noi), entrambe le soluzioni sono preparate da sempre nel piccolo e lussuoso hotel “The Algonquin”  famoso per essere stato per anni il punto d’incontro dell’elite letteraria Newyorkese, tanto che il suo ristorante venne chiamato la “Tavola Rotonda”, ed è stato la culla della rivista “The New Yorker”. 
Costruito nel 1902, a metà strada tra Times Square e la Stazione di Grand Central (più volte immortalata dal cinema), l’Hotel Algonquin, tra la Quinta e la Sesta Avenue, 59 West 44° Street, si trovava al centro di una delle zone più alla moda della città, vicino ai due ristoranti più famosi dell’epoca: Sherry’s e Delmonico’s, quest’ultimo amatissimo dagli attori del cinema e del teatro. Douglas Fairbanks e John Barrymore, come testimonia la prestigiosa collezione di autografi, erano ospiti abituali dell’Hotel, così come Smone de Beauvoir e Gertrude Stein, oltre a Sinclair Lewis e William Faulkner che, proprio all’Algonquin nel 1950, tenne il suo discorso di accettazione del Premio Nobel.  
All’interno dell’hotel c’è una sfilza di servizi da paralizzare gli indecisi, perchè l’Algonquin, malgrado i fasti e la grandeur del passato è un hotel moderno che ha mantenuto intatti i riti e le buone abitudini dell’epoca che fu così,  da mezzogiorno alle quattro del pomeriggio tè, cocktail e piccoli snack, vengono serviti anche nei salotti della Lobby, dove un campanello d’ottone su ogni tavolino, garantisce la piena attenzione del cameriere. Dopo c’è il Blue Bar, tutto boiserie e cuoio, con i bozzetti di Al Hirschfeld alle pareti, luogo perfetto per “scambiarsi idee e cocktail” e basta dare un’occhiata al menù per rendersene conto.   

Invece al Bemelmans Bar dell’Hotel Carlyle, vera pietra miliare di Manhattan dovreste chiedere :

The Old Cuban
(uno Champagne Mojito)

6 foglioline di menta
1 oncia di simple syrup (sciroppo di zucchero)
3/4 di oncia di succo di lime (fresco)
1 spruzzatina di Angostura Bitters
1 oncia e 1/2 di rum di qualità invecchiato
(di preferenza Bacardi 8 anni)
Champagne
Tre quarti di baccello di Vaniglia

In uno Shaker mettere le foglie di menta, lo sciroppo di zucchero, il succo di Lime, e l’Angostura Bitters. Aggiungere il rum e ghiaccio spezzettato in abbondanza. Shakerare bene e filtrare in un tumbler basso ghiacciato. Finire con lo Champagne e guarnire con tre quarti di baccello di vaniglia (uno intero sarebbe troppo lungo). 
Originale e perfetto per gli strenui amanti del Mojito a tutte le latitudini, più che per una serata in “tete à tete”, questo drink è una delle ricette di punta del Bemelmans Bar, dell’Hotel Carlyle di New York, situato in Madison Avenue all’angolo con la 76° Street. Nato attorno al 1930, su un grattacielo Art Decò dal tetto dorato, la cui torre si dice sia ispirata a quella londinese dell’Abbazia di Westminster, il Carlyle, fu il primo Hotel ad offrire anche lussuosi appartamenti per lunghi soggiorni, ed era il preferito di attori famosi, politici, produttori, e miliardari, tanto che per anni è stato gestito come un club privato, dove era inutile, per i semplici mortali, provare a chiedere una camera senza una prestigiosa presentazione. 
Il Bemelmans, il bar del Carlyle, è ancora arredato in stile Art Decò, con il soffitto ricoperto da una foglia d’oro. Deve il suo nome a Ludwig Bemelmans, l’artista (di origini austriache) che lo decorò nel 1947, con eleganti e divertenti affreschi che ritraevano scene e personaggi del vicino Central Park. Bemelmans era un noto pittore e illustratore, ma anche un apprezzato scrittore, i cui lavori apparivano regolarmente su riviste importanti come “The New Yorker”, “Vogue” e “Town and Country”,  ma è rimasto famoso soprattutto per una serie di libri per bambini dal titolo “Madeline” ancora molto amati. Si dice che Ludwig Bemelmans, affascinato dall’atmosfera che si respirava al Carlyle piuttosto che venire pagato, abbia scelto diciotto mesi di ospitalità per sé e la sua famiglia, in una lussuosa ala dell’Hotel. 
Perciò se vi trovate a New York organizzatevi e regalatevi un pomeriggio, o una serata al bar del Carlyle, ma prima, studiatevi bene il menù che trovate on line (per evitare di dover accorciare il vostro soggiorno), e ricordate che dopo le 21.30, quando inizia a suonare il jazz trio, viene applicato un elevato sovrapprezzo alla consumazione, sia al tavolo che al bancone.     

E a tutti coloro che ci seguono e che come noi amano il mondo dei cocktail e apprezzano le storie che raccontiamo sui drink, i paesi da cui provengono, i barman che li hanno creati, i bar, spesso mitici, dove si possono gustare e dove li portiamo con i nostri itinerari  Auguriamo una lieta serata di Capodanno e Magnifico  2013!

venerdì 14 dicembre 2012

Itinerari: MILANO

Milano con Mostra

Ogni città ha un periodo dell’anno che le dona particolarmente, è una questione di luce, di odori, di suggestioni, così l’inverno si addice a Milano, splendida nelle giornate fredde e cristalline giornate di dicembre, con il sole che s’infila sotto i portici di Piazza Duomo, percorsi da un flusso continuo di gente che si sfiora a passo veloce, migra da un caffè, a un ristorante, da una vetrina all’altra della miriade di negozi scintillanti che arrivano sino a San Babila e poi nel quadrilatero elegante  intorno a Via Monte Napoleone e via della Spiga. 
Bar Cova
Se siete da quelle parti, in fine mattinata, entrate nei riti e nei ritmi cittadini e fermatevi da “Cova”, storico bar pasticceria della Milano chic, assaggiate una fetta del suo famoso panettone e sorseggiate un Campari-Orange, mentre  osservate il via vai di habitué: uomini eleganti in blu, il fazzoletto candido che fa capolino dal taschino della giacca, signore ingioiellate, cagnolini-mosca con pelliccia firmata, auto sportive e una molteplicità d’idiomi da far invidia a New York. Se invece restate nei dintorni del Duomo sentirete che nell’aria aleggia il profumo delle caldarroste mescolato con quello aromatico del prezioso tartufo bianco, custodito e venduto anche lì sotto i portici, accanto al Duomo, in baracchine di legno simili a banche di cambio medioevali, con tanto di quotazioni e di bilancine di precisione che trasformano il desiderio di tagliolini al tartufo in un investimento finanziario. 
Interno Duomo
Nelle limpide giornate invernali, il Duomo diventa smagliante, le statue e i pinnacoli sembrano moltiplicarsi in una sorta di foresta che si allunga quasi a imbrigliare le nuvole, mentre il marmo prende la leggerezza del merletto. Ma la cosa più sorprendente se salite sin lassù, sul tetto dove si arriva in ascensore, è passeggiare tra santi e volute, e godersi lo straordinario panorama che nei giorni migliori, spazia sino al profilo innevato delle montagne. 
Se il freddo vi pare troppo pungente allora  entrate in Duomo, che è ricco, elegante, armonioso malgrado le proporzioni (il terzo al mondo per grandezza), e gli stili, iniziato nel 1386, finito cinquecento anni dopo, ha visto nei secoli dominatori spagnoli, francesi, austriaci e l’incoronazione di Napoleone Bonaparte a Re d’Italia.  
Castello Sforzesco
Milano, «capitale più a nord del sud e più a sud dell’Europa del nord», mescola in egual misura l’amore per le tradizioni, l’orgoglio per il proprio passato, i capolavori e i monumenti -come il Cenacolo di Leonardo da Vinci, il Castello Sforzesco, la Pinacoteca Ambrosiana, la Basilica di Sant’Ambrogio - con il gusto, la curiosità del design e dell’architettura moderna. 
Museo Poldi Pezzoli
Un mix che porta chi voglia conoscere questa città, dalle sale della Triennale dedicate all’arte moderna, alle collezioni del museo Poldi Pezzoli, alle bellezze di villa Necchi Campiglio, ai padiglioni della Nuova Fiera disegnati da Massimiliano Fuksas, ai negozi e agli spazi espositivi creati dai designer della moda, dal teatro Armani, alla fondazione Prada, che a Milano hanno eletto la loro capitale. 
La Scala
Se siete tra i fortunati mortali con in tasca un biglietto per una “prima” del Teatro alla Scala, fate in modo trovare il tempo di passare, sotto i portici di piazza Duomo, all’antico bar Zucca, del 1867(il bar Miani), che ebbe come clienti Verdi, Puccini e Toscanini, dagli interni in mosaico, dove ancora oggi la sera si tinge di rosso-arancio, i colori del rabarbaro zucca e del “Bitter d’Hollanda”, il Campari, una delle tradizioni del locale. 
Bar Zucca
Chiedete un Americano, come si dice facesse il giovane Hemingway, oppure un Negroni, se lo preferite come il Conte Cammillo, con un tocco di gin (vedere Negroni nelle nostre ricette). 
Pasticceria Biffi
E dato che siamo a Natale, non partite da Milano senza il panettone, dolce veramente “meneghino” e oltre a quello di “Cova” potete indugiare almeno tra altre due pasticcerie “blasonate”, quella di Marchesi, storica, tutta stucchi, dorature e bon bon, fondata nel 1824 (Via di S.Maria alla Porta), e quella di Biffi (Corso Magenta 87)  fondata nel 1847 che al panettone dedica persino un grande quadro a ricordo di quello “classico”, amato pare persino da Papa Pio X, ma voi sbizzarritevi con una delle varianti moderne magari quella con datteri e noci.

Se vi trovate a Milano nelle prossime settimane vi consigliamo oltre allo shopping, una mostra: “Pablo Picasso” a Palazzo Reale (sino al 6 gennaio) duecentocinquanta opere tra dipinti, disegni sculture e fotografie che ripercorrono la vita dell’artista, i suoi vari periodi e i suoi amori. 
Bellissima e suggestiva anche la parte che riguarda Guernica, il grande dipinto che venne esposto eccezionalmente a Milano nel 1953, nella sala delle Cariatidi, stavolta lo vediamo su un grande schermo dove scorrono le fotografie scattate a Picasso mentre lavorava al quadro, nei vari stadi della creazione, dalla fotografa Dora Maar, compagna e musa del pittore spagnolo. Tra i quadri in mostra ci sono anche: "Uomo con il mandolino" e "Uomo con la chiatarra", "Ritratto di Dora Maar", "Due donne che corrono sulla spiaggia", "Paul come Arlecchino", e "La Celestina".

giovedì 13 dicembre 2012

Incontriamoci al Bar: MILANO


Per un cocktail e uno spuntino vi portiamo al “Principe Bar” nello storico “Hotel Principe di Savoia”, nato nel 1927, al centro di uno di quei giardini (Piazza della Repubblica) dall’atmosfera parigina, piccole oasi sbucate dal nulla frequenti e inaspettate a Milano. Amiamo i bar degli Hotel, spesso accoglienti ed eleganti, lontani dalla strada e dai rumori, come il Principe Bar: ampio, tutto boiserie, marmi, colori vivaci, e un sorprendente lampadario di Murano che sembra un iceberg di cristallo, tutto onde candide e gocce. 
Look di classe, ma moderno, con un’illuminazione che mescola in modo armonioso la luce soffusa delle abat-jour con i neon colorati, il lounge bar ha una clientela internazionale, composta da delegazioni indiane, uomini di borsa e di finanza, ma anche stilisti di moda, attori, cantanti e scrittori. 
Il lussuoso hotel (scegliete, come Madonna, o Lady Gaga la suite presidenziale con annessa piscina privata con mosaico di delfini), coniuga tradizione e un design curato e sfizioso, tutto nuovo, e per il bar, grande atmosfera  e serate jazz e pop. 
Installatevi sui morbidi sofà di uno dei salottini d’angolo e tra i venti cocktail e long drink del menù, scegliete il vostro preferito, assieme ad una selezione di canapé caldi, o freddi, cioccolato fondente, nel caso abbiate scelto rum o cognac invecchiati, oppure (in caso di vincita in borsa), optate decisamente per il caviale. Spesso sul tardi a mo’ di “amuse-bouche” il bar serve delle deliziose brochette di frutti di bosco e cioccolatini.
Ordinate un Singapore Sling, se volete andare sul classico. Questo drink venne creato intorno al 1915 al Long Bar, del Raffles Hotel di Singapore dal barman Ngiam Tang Boon.

2 oz.  Succo d’Ananas
1.5 oz. Plymouth Gin
.5 oz. Cherry Heering
.5 oz. Granatina
.25 oz. Cointreau
.25 oz. Benedictine
.25 oz. Succo di Lime
1 spruzzatina di Angostura
Shakerare con ghiaccio e filtrare in un bicchiere Collins gelato e con  ghiaccio tritato. Guarnire con una ciliegina ed una fettina di ananas.

Per chi vuole restare sul classico, la lista dei cocktail del “Principe Bar” si fa ampia anche al di fuori del menù, basta chiedere al bar manager Daniele Confalonieri (che tra l’altro, ci ha raccontato l’episodio legato a Sean Penn e al Bloody Mary, con il quale inizia la nostra storia di questo cocktail), che ci ha confessato essere un estimatore del cocktail Martini, e del Margarita, e al suo staff, oppure, assaggiate un “Principe anniversario” dal colore verde smeraldo, servito in una coppa di cristallo di Murano che richiama la forma del grandioso lampadario del bar:

1/4 Blu Curaçao
1/4 Amaretto
2 gocce di succo di Limone
Shakerare con ghiaccio, filtrare in coppa di cristallo e finire con spumante Bellavista Franciacorta.

Più secco, (e quindi più nelle corde di chi scrive), il “Misty Mojito”, cocktail “rosso”:

1/4 vodka aromatizzata ai lamponi
1 cucchiaino di Zucchero di Canna bianco
1 goccia di Chambord
8 foglioline di Menta
More e Lamponi q.b.
In un Mixing Glass mettere le foglioline di Menta e quindi lo  Zucchero di Canna e spremere delicatamente, poi aggiungere le more, i lamponi, alcune gocce di Lime e ripetere l’operazione, aggiungere lo Chambord, la Vodka, mescolare e filtrare in un bicchiere alto, gelato, riempito di ghiaccio spezzato e finire con del Bitter Lemon.
  
Daniele Confalonieri ci ha fatto assaggiare anche il “cocktail bianco” creato quest’anno appositamente per il Natale, profumato al Lychees e apparentemente “leggero”, ma che rivela poi un cuore “spiritoso” e forte. Questo drink, interessante, dal gusto esotico, delicato e nuancé, qualche settimana fa era ancora senza nome e in attesa di entrare nel menù, quindi, se v’incuriosisce, chiedetelo direttamente a Daniele Confalonieri e già che ci siete, tentate di farvi dare la ricetta e i suoi ingredienti (ma su questo argomento, è assai poco loquace), per ora misteriosi anche per noi.

Daniele Confalonieri


Daniele Confalonieri Di Seregno, Bar Manager del Principe di Savoia, è giovane, ma con una lunga esperienza in Italia e all’estero. Nel suo carnet spiccano tra gli altri, lo Splendido di Portofino, il Suvretta di St. Moritz e il Four Season. La sua brillante carriera prima di approdare di nuovo a Milano, lo ha portato in giro per il mondo ed anche a Londra, a New York e Los Angeles dove ha vissuto per quattro anni. 

sabato 1 dicembre 2012

Sean Penn e il Bloody Mary

Hollywood e i cocktail
Sean Penn e il Bloody Mary


Geniale, anticonformista, a volte turbolento, ma simpatico e generoso (si è adoperato moltissimo per la popolazione di Haiti dopo il terremoto, così come aveva fatto per gli abitanti di New Orleans dopo la tragedia dell’uragano Katrina) Sean Penn, attore e regista, per quanto riguarda i cocktail, ha una passione per il Bloody Mary, o forse ne è rimasto conquistato alcuni anni fa,  al Bar del Four Season di New York, dopo aver assaggiato un Bloody Mary un po’ diverso dal solito.  Così tutte le volte che ci tornava, ordinava immancabilmente un Bloody Mary. Finché un giorno chiese, al bar manager dell’epoca, Daniele Confalonieri, cosa avesse quel Bloody Mary che lo rendeva così diverso e, detto fatto passò dall’altra parte del bancone, e non se ne andò sino a quando non l’ebbe imparato.
Abbiamo incontrato Daniele Confalonieri a Milano poco tempo fa (e presto vi parleremo di lui), e ci ha svelato (in parte) il mistero. Sì perché il Bloody Mary è uno dei drink di cui esistono più versioni,  tanto che, a parte quella considerata classica, volendo, ogni bar può avere la sua. Così Daniele Confalonieri ci ha rivelato solo qual è l’ingrediente particolare che rendeva il Bloody Mary che è piaciuto a Sean Penn, così gustoso, ma non come si fa. Ecco perché, secondo noi ad un certo punto Sean Penn ha scavalcato il bancone e non se ne è andato sino a quando non glielo hanno insegnato. (Capito la lezione? Certo se non vi chiamate Sean Penn magari chiamano la sicurezza…)
Infatti del Bloody Mary non solo ne esistono più versioni con vodka, che  è quella classica, ma anche una con Gin, una con Tequila e molte altre. Ma per farvi capire meglio, come stanno le cose dobbiamo tornare alla storia del Bloody Mary, che più che un long drink, viene classificato come un “brunch aperitif”, o più sovente un: “pick-me-up”, ossia uno di quei drink che gli anglosassoni usano bere, a qualsiasi ora del giorno, anche al mattino, per schiarirsi le idee dopo una notte di baldoria.
Sulle sue origini girano molte storie, alcune leggendarie e questo è uno degli aspetti più affascinanti dei cocktail, spesso legati a barman giramondo che grazie a un drink entrano nel mito. 
E’ il caso del francese Fernand “Pete” Petiot barman a Parigi, al quale viene ufficialmente attribuita la creazione del Bloody Mary, che  al “Harry’s New York Bar” uno dei primi American Bar, nel 1920-21, preparò per un suo aficionado cliente. Quanto al nome c’è chi dice che derivi dalla Regina d’Inghilterra, Mary Tudor I, soprannominata "Mary la sanguinaria", ma Pete in un’intervista raccontò che il suo cliente che era di Chicago, sorseggiando il drink, gli aveva detto che gli ricordava Mary, una cameriera del “Buckett of Blood”, un bar della sua città. Ma la ricetta del Bloody Mary, che all’epoca prevedeva tanta Vodka quanto succo di pomodoro, sarebbe stata completata solo anni dopo in America. Infatti,  nel 1934, dopo la fine del proibizionismo, ritroviamo Petiot, barman all’Hotel St.Regis di Manhattan, dove aveva come cliente fisso il gangster Frank Costello e si dice che abbia servito tutti i presidenti degli Stati Uniti salvo Lyndon B. Johnson. Comunque sia Petiot all’epoca era il barman più famoso di New York, e, al King Cole Bar, il suo drink era richiestissimo soprattutto dopo che il Principe Russo Serge Obolensky lo ordinò con una doppia dose di spezie e Pete ebbe l’idea di aggiungere alla ricetta il Tabasco.
Ma nel 1935 il padrone dell’Hotel, decise che “Bloody Mary” suonava troppo volgare, e impose a Petiot di cambiargli nome e il drink diventò: “Red Snapper” e il gin sostituì la Vodka, che all’epoca era poco conosciuta e ancor meno distribuita, in America.
La ricetta del “Red Snapper” venne pubblicata per la prima volta dal Cocktail Guide and Ladies Companion di Crosby Gaiger  nel 1941  ed è la seguente:
 
2 oz di Vodka
2 oz di succo di pomodoro
1/2 cucchiaino da Tè di salsa Worchestershire
1 pizzico di sale
1 pizzico di pepe di cayenna
Uno spruzzo di succo di limone
Sale, pepe rosso a piacere
Il tutto in uno shaker, e dopo aver ben shakerato servire in un bicchiere Delmonico.

Ma gli esperti, che hanno ricostruito la storia dei liquori e quella del succo di pomodoro, nonché le vicende politiche dei due paesi, hanno trovato molte discrepanze nella storia di Petiot dove c’è senza dubbio del vero, ma  esiste anche un’altra storia, raccontata dall’attore George Jessel (una stella nel “Walk of Fame”) che negli anni 1920 calcava i teatri di Broadway, e lavorava per il cinema con un certo successo, oltre ad essere un famoso organizzatore di feste e di eventi, ed un inveterato gaudente. Jessel, nella sua autobiografia: “The World I Lived In!”, racconta proprio come nel 1927, a Palm Spring abbia Inventato il Bloody Mary. 
Fu dopo una notte di bisboccia a base di champagne, nelle pieghe di un aristocratico torneo di Softball con l’elite locale, e dovendo tornare sobrio per poter scendere in campo, dopo aver tentato con vari miscugli anti sbronza, provò con della vodka, (un liquore che all’epoca “nessuno voleva e che puzzava di patate marce”) e per coprirne l’odore ci aggiunse del succo di limone e del pomodoro. Fu sufficiente qualche sorso di quella mistura “per fare piazza pulita di tutte le farfalle che ci ronzavano in testa” scrive convinto l’attore.  

Nel 1946 il libro Stork Club Bar Book di Lucius Beeber riporta la seguente ricetta del Bloody Mary:
3 oz di Vodka
6 oz di Succo di Pomodoro
2 spruzzatine di Angostura Bitter
1/2 limone spremuto
Shakerare con ghiaccio e servire in un Highball freddo.